Schermo, 1970 | Black and white photograph | 48,6 × 56,1 cm
L’artista è stato sempre circondato da un alone di mistero e di irreperibilità per la sua volontà di isolare il proprio lavoro dall’omologazione del mondo dell’arte, evitando sia mostre che apparizioni pubbliche. Per sua scelta non furono mai pubblicati cataloghi o libri sulla sua produzione, né attribuì alla fotografia alcun valore documentario o pubblicitario della propria opera.
Gino De Dominicis si formò presso l’Istituto d’arte della sua città, sotto la guida di Ettore Guerriero. Espose per la prima volta le sue opere in una galleria di Ancona a diciassette anni, nel 1964, caratterizzandosi per una sagace vena figurativa. Dopo un periodo di viaggi si stabilì a Roma nel 1967. Qui svolge la sua ricerca con mezzi espressivi diversi concentrandosi su tematiche ricorrenti quali il problema della morte e dell’immortalità fisica, la realizzazione dell’improbabile, la confutazione dell’irreversibilità del tempo e dei fenomeni. Le sue opere sono state raramente fotografate e catalogate per sua volontà.
Del suo primo periodo di attività rimangono alcuni lavori: del 1969 sono i due filmati “Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno ad un sasso che cade nell’acqua” e “Tentativo di volo”; sempre del 1969 è la scultura “Il tempo, lo sbaglio, lo spazio” dove uno scheletro umano con i pattini a rotelle disteso a terra mantiene in equilibrio un’asta con un dito, tenendo al guinzaglio uno scheletro di cane. Espose nello stesso anno degli oggetti invisibili come “Il Cubo, il Cilindro, la Piramide”, mostrati solo dai loro perimetri tracciati sul pavimento. Alla fine degli anni Settanta apparivano per la prima volta le figure mitologiche di Urvasi e Gilgamesh, destinate a diventare icone simbolo della sua iconografia.
Del 1970 è l’opera lo “Zodiaco” insieme all’”Asta in bilico”, l’”opera obliqua” e i “Nasi” dove rappresentò concretamente i dodici segni zodiacali esponendo un toro, un leone vivo, una giovane vergine e due pesci morti appoggiati sul pavimento. Nella Biennale di Venezia del 1972 presenterà l’opera “Seconda soluzione d’Immortalità, (L’Universo è Immobile)”, nella quale il signor Paolo Rosa, un giovane affetto dalla sindrome di Down, sedeva in un angolo di fronte ad un cubo invisibile, a una palla di gomma (“caduta da due metri nell’attimo precedente al rimbalzo”) e ad una pietra in attesa di movimento. Nel 1972 terrà a Roma un cocktail per festeggiare il superamento del secondo principio della termodinamica; nel 1975 a Pescara organizzò una mostra il cui ingresso era riservato ai soli animali.
Dalla fine degli anni Settanta De Dominicis si dedica quasi esclusivamente a opere pittoriche e disegni d’ispirazione figurativi, realizzati con tecniche basilari come la tempera e la matita su tavola o su carta, più raramente su tela.
Innumerevoli le mostre nazionali e internazionali alle quali è stato invitato (Biennale di Venezia, Biennale di Parigi, Documenta Kassel, Quadriennale di Roma) e le mostre personali organizzate in musei e gallerie (Philadelphia Museum of Art, Stedelij Museum Amsterdam, Galleria l’attico di Roma, Galleria Sperone Roma, Fondazione Rayburn Fondation NYC, Museo di Grenoble, Royal Academy of Arts Londra-Tokyo).
Dopo la sua morte la prima grande mostra personale retrospettiva viene organizzata nell’ambito della 48° edizione della Biennale di Venezia (1999) a cura di Harald Szeemann e Italo Tomassoni.
Il Museo Maxxi di Roma ha inaugurato la sua attività nel 2010 allestendo una grande esposizione di opera di Gino De Dominicis a cura di A.B.O. (Achille Bonito Oliva).
Nel 2011 la casa editrice Skira ha pubblicato il catalogo ragionato delle opere dell’artista a cura di Italo Tomassoni.
Nella città di Foligno per volontà degli eredi è stato costituito l’Archivio Gino De Dominicis.